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Kamala Harris la prima donna afroamericana vicepresidente degli states

di Cinzia Santoro

Ha giurato mercoledì la prima vicepresidente donna degli States, Kamala Harris. Cinquaseianni, figlia di immigrati, scrive su twitter:

“Sono qui grazie alle donne che mi hanno preceduta”. Twitta ricordando sua madre e tutte le generazioni di donne afroamericane, asiatiche, bianche, ispaniche, native americane che hanno fatto la storia del suo paese. “Donne che si sono battute per l’uguaglianza, la libertà. E che continuano a combattere per i loro diritti”, dice nel video.
Laureata in legge ad Harvard, ha ricoperto la carica di Procuratore Generale e Attorney General (pubblica accusa). E’ senatrice dal 2016. Democratica progressista, la Harris è favorevole alla sanità pubblica e gratuita, sostiene i diritti della comunità LGBT e come altri Dem non accetta donazioni che provengono da grandi corporazioni. Ha apertamente manifestato il suo dissenso per la vendita delle armi d’assalto. Joe Biden la definisce tosta, intelligente e nata per essere leader. Alla cerimonia di insediamento, pragmatica e sicura, arriva accompagnata dal marito, e all’ ultimo gradino inciampa. Questo inconveniente la rende umana, vera. Indossa un cappotto viola, colore che insieme al bianco, a Capitol Hill è associato al movimento per il voto alle donne. Giura nelle mani di un’altra donna d’origine ispanica, Sonia Sotomayor, prima giudice della Corte Suprema, quasi a voler sottolineare il cambio di passo della nuova presidenza.

Cerimonia di insediamento Biden

Kamala è d’origine multirazziale, padre giamaicano e madre indiana, e la sua carica è espressione del nuovo vento che spira alla Casa Bianca con la vittoria di Joe Biden.
Ambiziosa e intraprendente aspetteremo quattro anni per vedere se la Harris riuscirà a puntare dritto alla presidenza, centrando un ulteriore obiettivo al primo tiro. Oggi auguriamo a Kamala che possa davvero fare la differenza nella gestione dei punti più scottanti della vita degli americani, dopo la presidenza di Donald Trump.

23 gennaio 2020

4 thoughts on “Kamala Harris la prima donna afroamericana vicepresidente degli states

  1. Qualche giorno fa si discuteva del sistema elettorale degli Usa e del suo bipartitismo, di derivazione anglosassone, e della circostanza che spesso i Dem avevano affrontato i danni morali ed economici dei Rep. Per la verità la guerra del Vietnam è stata dichiarata da Kennedy, dem, ma risolta da Nixon Rep. Il Rep Lincoln ricostruì l’ Unione attraverso un’opera di riconciliazione. Biden assolverà alla stessa funzione, dando spazio ai gruppi multietnici molto diversificati che convivono nella stessa Nazione, e che hanno fatto grande l’America, non l’America First isolazionista ed imperialista, ma internazionalista ed universalista. Ma dovrà lavorare molto al suo interno sui diritti civili, sul welfare, su più solidaristici rapporti sociali di produzione. L’avvio è promettente.

    1. Il discorso di insediamento di Biden è rivolto alla “pancia” degli americani, oggi divisi più che mai dai quattro anni della presidenza Trump che ha fomentato le frange più estremiste, razziste e misogene degli stati del sud. Joe Biden, parafrasando il buon padre di famiglia afferma che lui sarà il presidente di tutti e non solo dei suoi elettori. Già da oggi ha posto la sua firma per la ratifica di importanti provvedimenti che vanno in senso opposto alla politica del sul predecessore. La scelta di sentire Ursula Von de Meyer, di ritirare il famigerato Muslim Ban, il ritorno degli Usa nel OMS e la volontà di aderire alle politiche per il cambiamento climatico rappresentano la volontà di segnare il cambiamento.Biden, con Kamala Harris devono lavorare sodo. I numeri in termini di voti ci sono. Vedremo cosa riusciranno a realizzare. E il primo passo sarà riportare il ceto medio alla stabilità economica. Nella politica internazionale sono curiosa sulle posizioni che Biden assumerà in Medio Oriente, con Isreale e Palestina e in Sirya.

  2. Sono d’accordo. Il discorso di Biden ha parlato alla pancia degli americani. Lui sarà il presidente di tutti ha commentato. Dopo Trump, bisogna ricostruire l’unità del paese, dilaniato da violenza e crisi economica. Vedremo come lavoreranno. Io sono curiosa di vedere quale sarà la politica estera in medio oriente, Siria e Palestina.

  3. Gli USA sono sempre stati con Israele, stretti alleati dell’Arabia Saudita, nemici dell’Iran. Indifferenti allo scenario Siriano, anche se dispongono di 9.000 uomini. La loro assenza ha permesso all’Isis di proliferare, alla Turchia e alla Russia di coprire il vuoto lasciato libero dagli USA. Questo dai tempi di Obama. Gli Usa hanno capito la scotta che hanno preso con l’invasione dell’Iraq. In Palestina Abu Mazel indice nuove elezioni, dopo 15 anni, ma al solo fine di garantirsi il futuro controllo degli aiuti umanitari internazionali, in primis della UE. Il popolo palestinese, come tutti i popoli del mondo, in particolare dei paesi autoritari, sono tempestati di propaganda islamica, che costituisce un ottimo strumento di controllo delle coscienze. Il potere si è sempre servito della religione per gestire le coscienze. Sciiti e sunniti amplificano i contrasti. Si può superare il contrasto solo con la cultura, laica, di confronto, di dialogo. Ma mi pare che i popolo arabi, del deserto, non sono tanto inclini a queste “mollezze” occidentali. Non così i loro capi, che bevono alcool, alle manifestazioni religiose vanno solo per farsi notare, hanno immense ricchezze usurpate ai loro stati, cioè al loro popolo. Per me sono paesi per i quali la democrazia non va bene, vedi le primavere arabe. Salvo che l’arabo emigri in Occidente ed acquisisce quel modello di vita. Ma non è facile, hanno tentato le seconde generazioni, e quei ragazzi sono pionieri ed eroi. Basti pensare alle donne musulmane che intendono sposarsi con gli occidentali, relazioni molto spesso sfociate in tragedia. Lo statu quo durerà per un bel po’ ed Israele sarà sempre più vigile. A meno che, come diceva Pannella, Israele non faccia parte dell’Europa. La nostra cultura è greca, ebraica, romana.

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