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Pennivendoli e…p***tane. Siamo ritornati al periodo vittoriano?

 

di Romolo Ricapito

Pennivendoli e puttane, sostantivi che rivelerebbero un certo sessismo da parte di chi li ha, in questi giorni, pronunciati.
Tali definizioni hanno suscitato indignazione, ovviamente, all’interno della categoria degli stessi “infamati”: i giornalisti.
L’insulto peggiore, tuttavia, risulta quello formulato nei confronti della componente femminile.
Definire meretrice una giornalista, significherebbe che una tale professionista proviene dalla pratica del mestiere più antico del mondo o  più realisticamente, si venderebbe in cambio di lavoro?
In verità l’astio per non dire l’odio contro le giornaliste ha un sapore di retromarcia epocale e rimanda all’epoca vittoriana, due secoli fa, durante la quale non le  giornaliste (praticamente pari a zero) ma le scrittrici erano considerate alla stregua di poco di buono o delle semplici avventuriere.
Annunziata
Annunziata a Bonafede- “…io sarei pennivendola o puttana?
Bonafede
Ministro Alfonso Bonafede ospite di Lucia Annunziata

Classico l’esempio delle sorelle Brontë che si finsero uomini dando alle stampe le loro prime pubblicazioni: Actor, Currer ed Ellis Bell i loro nomi virili. Queste concezioni “contrarie” al giornalismo tout court, concepite da coloro che vogliono difendere i più deboli, ovvero i giovani senza lavoro (ad esempio) dimostrerebbero (condizionale) una misoginia spietata, forse perché una ipotetica critica fatta da donne (croniste)  sul piano politico offende maggiormente l’orgoglio e il narcisismo del politico maschio di turno, che si sente in questo modo “espropriato” della sua essenza di personaggio pubblico e di pubblica utilità?

15 novembre 2018

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