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Al Piccolo Teatro di Bari. “Un Amleto”, la magia di Shakespeare nel riuscito adattamento del regista Roberto Petruzzelli

Romolo Ricapito

di Romolo Ricapito

Al  Piccolo Teatro di Bari – “Eugenio D’Attoma” è stato bene accolto dal pubblico lo spettacolo “Un Amleto” tratto da William Shakespeare nella rivisitazione del regista Roberto Petruzzelli, il quale si è ritagliato il ruolo di re Claudio, mentre la parte  di Amleto è stata affidata a   Mattia Galantino.

Ho avuto la fortuna di assistere pochi mesi fa grazie a Nietta Tempesta, che interpreta la regina madre Gertrude, alla prima lettura da parte degli attori  di codesto dramma,  ascoltando in anteprima anche le musiche scelte per l’allestimento, che così come Petruzzelli  spiegò (e ha spiegato anche agli spettatori intervenuti prima  della rappresentazione) “è una riduzione dall’Amleto originale, così come lo sono anche   quelle che vengono portate in scena nei teatri di tutto il mondo”.
Citando Jon Kott, attento studioso dell’opera scespiriana , Petruzzelli ha spiegato che l’Amleto integrale durerebbe ben sei ore,  essendo la più lunga delle opere del Bardo, con 40 attori in scena.
Perciò per il regista “tagliare, scegliere, tradire” è essenziale, nel rispetto comunque dei contenuti e dell’arte originaria del più grande drammaturgo inglese di tutti i tempi.
Roberto Petruzzelli spiazza il pubblico con un ingresso a sorpresa dalla platea, invitando gli spettatori distratti a spegnere il cellulare: “vi prego, si vede la luce”.
Sarebbe cosa gradita che in tutti i teatri si avvertisse il pubblico pagante con  questa accortezza, ma anche nei cinematografi.
Che fastidio provocano al buio quelle luminescenze, non soltanto agli altri spettatori, ma pure  agli stessi attori che si impegnano duramente in scena!
Un Amleto è appunto, dunque,  quello rappresentativo dei tanti aspetti del personaggio originario che vede le sue azioni determinate da una stretta ubbidienza al Destino.
Petruzzelli ha infine voluto che i “suoi” attori indossassero abiti dell’epoca attuale, in quanto quello di Shakespeare è un teatro   contemporaneo.
Nietta Tempesta nel ruolo della regina Gertrude, madre di Amleto, è avvolta in uno scialle bianco e traforato,   che si abbina ad un abito azzurro.
 Il suo ruolo è accomodante,  pur  se  dolente, soprattutto nel finale.
Mentre suo marito Claudio (  Roberto  Petruzzelli)  ricorda agli spettatori che la Natura non fa che parlarci della morte dei nostri Padri.
La morte del padre di Amleto, nella fattispecie,  è stata però artificiale, ossia voluta dallo zio Re e ottenuta tramite un inganno, che ha generato un avvelenamento.
Lo spettacolo di Petruzzelli genera luci e ombre, che sono quelle di un’illuminazione ben gestita: questo gioco di luci, semplice ed efficace, è l’indicatore dei sentimenti interiori, sempre in bilico tra infelicità e determinazione nell’eseguire la tanto desiderata vendetta, ma c’è anche l’amore (quello tradito) e il trasporto di Amleto per la bella Ofelia, interpretata da Silvia Cuccovillo.
 Costei  si trova prima a colloquio con Laerte (Dario Diana)  suo fratello, più tardi col padre Polonio (Roberto Romeo) . L’Ofelia in questione  sembra nella prima scena quasi una viaggiatrice, seduta su un baule  mentre discorre  col germano.
Ma ecco dunque Amleto in una scena- madre nella quale parla invasato dello spettro del padre che gli ordina senza indugio  di vendicarlo.
E’ una scena gotica che è resa molto bene dalla regia, ma anche dall’attore impegnato nei panni del principe di Danimarca.
Scena quindi nella quale domina il rosso, colore del sangue, della passione e, appunto, della vendetta.
Va detto che la rappresentazione si alterna a toni quasi da commedia, probabilmente per stemperare  talvolta il “dramma” stesso, rendendolo ancora più vivo e attuale.
Si apprezza poi la facilità di approccio con la quale il pubblico è reso consapevole.
Tale  essenzialità di comprensione non è casuale, ma sicuramente frutto di una sofferta ricerca di Roberto  Petruzzelli.
L’interazione con gli spettatori è resa ancora più evidente  dal passaggio di alcuni attori dalla sala al palcoscenico, ma Amleto ad esempio  scompare anche dall’uscita del teatro, per poi ritornare sul palco.
E’ annunciato quindi l’arrivo dei comici al castello.
L’Amleto si fa ancora più moderno, agile e icastico per la performance del primo attore .
Mentre Nietta Tempesta, ovvero Gertrude, è una regina acuta, previdente, che nel ricevere Ofelia è cosciente del dolore pregresso del figlio, ma  non ancora elaborato: non è convinta insomma della pazzia del Principe.
Ma il contatto tra Amleto e Ofelia distesa su una panca assume quello di una lotta drammatica e perversamente erotica nei movimenti.
Esce di scena Polonio, padre della ragazza, ma in modo altamente drammatico. Mentre l’uso dei burattini fatto da Amleto, sarcastico e dissacrante, anticipa un gioco di luci cangianti che movimentano ancora di più quanto è già movimentato.
Nella confessione del re Claudio, quella di colpevolezza, vi è un senso di colpa che il cambio di recitazione, reso da più di un registro, mette bene  in evidenza.
I dialoghi, resi deliberatamente   sobri ed  eleganti nell’intelligente scelta a tavolino, rendono il dramma comprensibile a chiunque, abolendo vecchi stereotipi e compiacimenti di antica scuola.
Un pezzo cantato da Nina Hagen in tedesco fa da sfondo al lancio dei petali di margherita di Ofelia davanti a sé, scena poetica e commovente.
La morte del padre, inaccettabile, viene da lei trasformata in puro lirismo interiore, che viene integrato dalla recitazione del monologo essere o  non essereto be or not to be, che il regista ha affidato proprio a lei, in quanto :”ogni attore dell’ Amleto  può  pronunciarlo “, essendo quei fatali versi adattabili,  virtualmente, a ciascun  membro del cast scenico.
Un brano di Leonard Cohen accompagna la fine di Ofelia mentre la scena del becchino coi tre teschi è insieme ironica e dissacrante.
Ofelia distesa nel vestito rosso come il sangue  evoca ancora suggestione : si viene accompagnati al  finale, nel quale i vari personaggi assumono un aspetto non spettrale ma ieratico, pur nel buio della scena scurissima.
La lampadina in alto che illumina il tutto propone un finale magico, da fiaba più che da dramma.
Roberto Petruzzelli ha salutato il pubblico, elogiando il lavoro di Nietta Tempesta, che da 50 anni porta avanti il Piccolo Teatro di Bari, ormai da molti anni da sola (il fondatore Eugenio D’Attoma, suo marito, è scomparso ormai diverso tempo fa)combattendo con la burocrazia e   la mancanza di aiuti economici pubblici che un teatro ormai storico e apprezzato deve purtroppo sopportare.
21 gennaio 2018

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