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Tutto esaurito e standing ovation al Teatro Abeliano per Gabriele Lavia. Lui splendido: il suo Sogno di un Uomo Ridicolo, meno

di Romolo Ricapito

Bari, venerdì 3 novembre-Al Teatro Abeliano  è  stato registrato il tutto esaurito per le repliche della durata di cinque giorni di Il Sogno di un Uomo Ridicolo tratto da Fëdor Dostoevskij.

 Mattatore assoluto Gabriele Lavia il quale oltre che interprete di questo monologo della durata di 1 ora e 20, ne è anche il regista.
Gabriele Lavia, Teatro Abeliano

La sua interpretazione ha fatto registrare la standing ovation del pubblico presente che ha applaudito a lungo  lo straordinario attore .

Per una casualità il 3 novembre (giorno della nostra presenza)  è anche la data citata all’interno della storia che vede il protagonista costretto in un bianco lenzuolo. Esso funge anche da camicia di forza.
Lavia è scalzo e cammina su un palco reso insolito da un “tappeto” di terreno la cui polvere, sollecitata dalle camminate agitate dell’attore, si solleva nell’aria per tutto lo spettacolo.
Il viso dell’Uomo Ridicolo è imbiancato, ma tinto anche di marrone e così le gambe scarne e i piedi.
Una scrivania, libri sparsi per terra e una sedia dal tessuto scarlatto e sdrucito campeggiano sulla sinistra.
Il registro scelto da Lavia per il monologo è quello di una voce stentorea e sofferta. L’Uomo soffre perché dalla nascita è considerato ridicolo.
E’ una realtà o una sua  fantasia?
Il dialogo è chiaro e comprensibilissimo, pregno di rivelazioni, ma soprattutto all’inizio.
Dalla metà inizia a diventare mistico, o misticheggiante, mettendo a dura prova gli spettatori : essi infatti devono  sforzarsi per intendere metafore e raffinatezze che scorrono veloci, forse troppo intense e sovraccariche.
La disperazione dell’Uomo è data dalla solitudine che constata con l’indifferenza del prossimo.
Una bambola molto grande in piedi alla destra del palco assiste al delirante monologo.
Gli elementi atmosferici come la pioggia e il freddo sono la cornice del dramma, mentre i contatti sociali dell’Uomo Ridicolo sono viziati dalla ricerca di una spontaneità e genuinità inesistente negli Altri.
L’ideazione del  suicidio tramite una pistola di produzione americana diventa la vera metafora della vicenda, ovvero un’azione liberatoria distratta però dalla sofferenza altrui, quella della bambina-viandante in difficoltà.
Ma l’Uomo è ormai incapace di interagire empaticamente col suo prossimo e nella fattispecie con tale bimba.
La pièce presenta difficoltà fisiche per l’interpretazione, causa la  costrizione del camice-camicia di forza che il regista-attore indossa durante tutta la messa in scena.
A un certo punto è accolto sul paloscenico  un giovane, alter ego dell’Uomo, che però non parla, ma fa esplodere il colpo di pistola fatale.
Questo racconto di conoscenza potrebbe apparire desueto e anacronistico se non fosse supportato da un attore esperto e convinto come Gabriele Lavia, il quale attualizza un testo non modernissimo ma evitando di  aggiornandolo con artifizi per catturare il consenso  del pubblico.
E’ chiaro che il flusso dei pensieri dell’Uomo rivela un certo egoismo solipsistico tipico delle persone sole.
Il difetto dell’operazione è, o potrebbe essere, quello di risultare indigesta per la staticità degli argomenti e delle problematiche dette e ribattute, per cui questo spettacolo dal taglio introspettivo ha i suoi momenti di tedio che generano cali di attenzione, in quanto il testo puramente letterario  più che teatrale, non essendo come accennato allestito con nessuna  forma di captatio benevolentiae , sfida dunque il pubblico a confrontarsi con tematiche  le quali esso tenderebbe a evitare. Epperò si è costretti a farlo.
L’one man show diventa dunque appunto una provocazione ai presenti  obbligati a introiettare i drammi dell’Uomo Ridicolo e a stabilire che il disagio causato dal personaggio è una disamina della propria felicità, inesistente, dunque l’epifania dell’  infelicità .
Tale realizzazione crea nell’essere umano una lacerazione che però se non proprio tollerata può essere alleviata nel confronto con l’Altro, che diventa un tutt’uno tra protagonista e platea. Ovvero un unico essere

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