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L’Inganno di Sofia Coppola: film declinato al femminile, ma a vincere per bravura è l’unico uomo del cast, Colin Farrel

di Romolo Ricapito

E’ partito bene il film drammatico L’Inganno, scritto, prodotto e diretto da Sofia Coppola, che si attesta al quarto posto degli incassi italiani.

Preferito da un pubblico maturo (chi vi  scrive l’ha visto di sabato, in una sala piena, ma con l’assenza della fascia dai  venti ai trent’anni, pochi i quarantenni) mentre i giovani hanno decretato il primo posto al box office, a sorpresa, del film sentimentale-giovanilistico Noi Siamo Tutto .
Ad ogni modo è risaputo che L’Inganno è il rifacimento della pellicola La Notte Brava del Soldato Jonathan con Clint Eastwood, diretto da Don Siegel nel 1971 e tratto dal romanzo The Beguiled di Thomas P. Cullinan.
Orbene, il film di Siegel è lontano nel tempo, cosicché pochi lo ricordano, o l’hanno visto: soprattutto  i più giovani lo ignorano totalmente.
E dunque la regista Coppola si avvantaggia di questo, riguardo i possibili paragoni.
Comunque la storia ambientata durante la Guerra Civile Americana vede un piccolo collegio femminile  abitato da ragazzine (una sola è adolescente) e diretto dalla rigida Martha (Nicole Kidman).
Altra adulta del collegio (oltre che  insegnante di francese e cucito )  è Edwina (Kirsten Dunst).
Una delle allieve del convitto  rinviene nel bosco, esanime e gravemente ferito, il soldato yankee (nordista) John Patrick McBurney (Colin Farrell).
Egli viene curato dalla direttrice fino alla quasi guarigione.
La tentazione di consegnarlo alle truppe della Virginia svanisce in quanto l’uomo viene segretamente concupito dalle due adulte, ma anche dalle altre alunne.
La passione della direttrice (Martha) ha inizio mentre ripulisce il corpo seminudo del soldato svenuto  con dei  panni bagnati, indugiando sul bel petto villoso e scendendo più giù. La protuberanza causata dal membro maschile sotto la mutanda è accennata dalla regista, che non vi indugia, ma è sottinteso che la direttrice dal carattere d’acciaio  ne sia molto turbata.
Assistiamo a una forma di isteria collettiva, perfettamente descritta a livello psicologico.
In fondo l’opera vuole esplorare le storture di un mondo chiuso, tutto al femminile, di educazione vittoriana importata dalla ex madre patria Inghilterra.
La rigidità dei volti della Kidman e della Dunst testimonia  passioni sopite che, ridestatesi, esplodono come fuochi d’artificio.
L’uomo attenzionato dalle ospiti subisce varie metamorfosi: dapprima sconfitto, anche in ragione della debolezza fisica, poi convalescente e dunque disponibile al dialogo e a rispondere alle sopite provocazioni, anche in chiave di pronta risposta sessuale.  Dunque più aggressivo man mano che le tante donne danno luogo a una serie di comportamenti ambigui, devianti, pericolosi e di non ritorno.
Il film piace perché tutto è dichiarato e chiaro: sentimenti e accadimenti.
Il pubblico allora   tende a identificarsi  immediatamente.
Questa semplicità di fondo giova alla pellicola che si avvale appunto di una facilità di comprensione  sconfinante con l ‘empatia.
Il migliore è senz’altro l’interprete maschile Colin Farrel anche perché usa più registri di esplorazione e interpretazione. Inoltre compare inizialmente con la barba, ma  nella seconda parte ne è privo:  tale fatto vuole documentare la sua ripresa fisica e l’asservimento alle regole rigide di “pulizia esteriore” del collegio del quale è un forzato  ospite.
Nicole Kidman nel ruolo principale non stona, ma neppure brilla, a causa della rigidità impostale dalla sceneggiatura, ma soprattutto per le operazioni di chirurgia estetica che hanno reso il suo volto impersonale.
Meglio Kirsten Dunst, anche se il volto si è ormai  ingrossato parecchio, nonostante abbia soltanto 35 anni . E dunque questo difetto priva il personaggio di Edwina della necessaria  sensualità, quella che dovrebbe sedurre il  soldato “nemico”, come appunto poi avviene. O meglio, costei viene da lui corteggiata e conquistata.
Gli esterni mostrano una natura lussureggiante e decadente, appunto quella del sud degli Stati Uniti, mentre le colonne doriche alla Via col Vento sottolineano la magione popolata  dalle sue esaltate abitanti.
In conclusione se L’Inganno non è un vero capolavoro, rimane un’esercitazione ben riuscita di regia e tecnica, al pari dei sentimenti ambigui e contrastanti che indaga.
Pubblicato il: 25 Set, 2017 h 00:05

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