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Bari: Allo Showville Checco Zalone sbanca e sfavilla

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Il successo esagerato dell’attore pugliese deriva da una formula vincente: attualità, comicità e varietà oltre che intelletto.

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L’attaccamento alla “poltrona” di Checco

di Clelia Conte                                                                                                                                                                            

Il primo giorno di proiezione dell’atteso film di Checco Zalone, “Quo Vado”, sono andata al cinema non tanto per curiosità ma per vedere se l’artista pugliese avesse o no avuto l’intelligenza di non riproporre le solite storie, forte del successo dei precedenti “Cado dalle nubi” eccetera. In passato ad esempio, Francesco Nuti, nei suoi films era il solito giocatore di bocce, Pieraccioni è ancora il solito banale innamorato della bella di turno. Ripetitivi e inutili sono i panettoni che hanno come protagonista, ahimè Cristian De Sica che potrebbe dare molto di più al nostro cinema sulla scia del nome di cotanto padre (Vittorio). Checco al contrario non solo tira su gli animi e fa ridere ma, in “Quo vado”, si intercala in una società nella quale il posto di lavoro fisso era ed è la salvezza da tutti i mali. L’impiego è sacro soprattutto secondo la concezione della società nella prima Repubblica che rendeva gli impiegati felici e che per diritto lavoravano il minimo indispensabile poiché il “di più”, se non pagato come lavoro straordinario, poteva essere solo un’ingiustizia avallata dai sindacati di turno.

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Lino Banfi e Checco Zalone nel film “Quo Vado”

Il protagonista mette in ridicolo questo attaccamento all’impiego e nel film perde il lavoro con la chiusura delle Provincie. Si fa consigliare da un politico “protettore degli impiegati”, interpretato da Lino Banfi che gli suggerisce in maniera drastica di non mollare mai. D’altro canto, c’è la pressione della

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Sonia Bergamasco e Checco Zalone

dottoressa Sironi (Sonia Bergamasco), dirigente della pubblica amministrazione che fa di tutto (d’accordo con il ministro), per incentivare Checco ad abbandonare l’impiego, utilizzando le sue armi fino a prostituirsi pur di non deludere ministro che l’avrebbe altrimenti declassata o licenziata. Vediamo qui che anche lei lotta per mantenere il suo posto cercando di scoraggiare il mal capitato tanto da trasferirlo in Norvegia al Polo Nord.

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Quo Vado: Checco viene spedito al Polo Nord

Qui Checco deve lavorare con gli esperti studiosi dell’ambiente che si occupano dello scioglimento dei ghiacciai al Polo Nord e si va a scontrare con una mentalità nordica fortemente diversa dalla sua identità primitiva cioè: quella di suonare il clacson ai semafori, di gettare le carte per terra, di mettere le auto in doppia fila e quant’altro. Inoltre Checco si incontra con una scienziata che ha tre figli da tre padri di diverse etnie e che professano religioni differenti. Si adegua volentieri alla nuova famiglia fino allo sforzo di non essere geloso della compagna. I genitori, italiani e tradizionali, si preoccupano fortemente per la sua trasferta ed l’ossessione del padre, che ingoia a malincuore il fatto che il figliolo potesse abbandonare l’impiego viene sdrammatizzata dalla moglie che ovviamente crede più nei buoni sentimenti del figlio optando per il recupero del rapporto con la compagna incontrata in Norvegia.

Eleonora Giovanardi - Checco Zalone- nel-film-Quo-Vadis-al-Polo-Nord
Eleonora Giovanardi e Checco Zalone nel film al Polo Nord
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Checco rimane colpito dalla prole: ognuno prega in lingua e religione differente

Quest’ultima, Valeria (Eleonora Giovanardi), viene lasciata in nome del posto fisso e recuperata dal protagonista in Africa dove prima deve fare i conti con una tribù protetta, quella dei Dogon a Mali che per liberarlo deve ascoltare la storia della sua vita per decidere di ridargli la libertà in base alla valutazione del capo. Per essere degno di attraversare il loro territorio Checco si sarebbe dovuto comportare bene nella vita. Sarà il finale del suo racconto a far ricredere il capo tribù  sul motivo del suo viaggio e cioè l’amore. Intanto la sua compagna partorisce in Africa la loro figlioletta e lui che sarà liberato potrà finalmente abbracciarle. Alla fine sugli interessi e gli egoismi dell’impiegato in questione, prevalgono la speranza e il cuore. Persino la dottoressa Sironi e Checco scoprono di volersi bene nonostante la precedente persecuzione della donna, architettata per fargli abbandonare il posto fisso.

Checco nel pieno della sua felicità impiegatizia sceglie la pasta sul campionario mostrato dalla madre
Checco nel pieno della sua felicità impiegatizia sceglie la pasta sul campionario mostrato dalla madre

In conclusione, ho potuto constatare che Zalone esprime genialmente, attraverso il racconto problematiche serie e complesse: il lavoro, l’ambiente, la politica, la famiglia, la multietnicità, la corruzione e concussione, delle quali  azioni, in una scena ne spiega in due parole il significato ad un signore che per ringraziarlo vuole ricompensarlo donandogli una quaglia. All’inizio del film, Zalone rappresenta il prototipo di uomo italiano viziato: vive da re non vuole sposarsi per non prendersi responsabilità e vuole continuare a vivere con i genitori per non sprecare soldi. Tutto ciò fino a quando non emerge l’egoismo rispetto a chi deve fare i conti con una realtà modificata ed adeguarsi anche ad un lavoro che non da sicurezza ma mette alla prova le capacità dell’individuo. La pugliesità di Checco è fine a sé stessa in quanto lo spirito dell’opera può essere compreso da tutti e non solo dai meridionali perché i temi trattati sono universali.  Nel finale emerge, il cuore degli italiani che, nonostante tutto, arrivano ad accettare situazioni che prima non condividevano e questo accade per amore e quieto vivere. Il meritato successo del film deriva da uno studio intelligente dell’autore (che qui non dice parolacce!) e la sua capacità di rinnovarsi non nel personaggio ma nei temi. Raramente sono uscita dal cinema così soddisfatta:  l’opera è da vedere!

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